In una recente Sentenza, il Consiglio di Stato è intervenuto nuovamente sulla possibilità di accedere all’istituto della cosiddetta “fiscalizzazione dell’abuso” ex art. 38 D.P.R. n. 380/2001 a seguito dell’annullamento del permesso di costruire, in caso di difformità tra l’opera fiscalizzanda e l’originario titolo abilitativo.
Il caso.
La vicenda giudiziaria trae origine dal ricorso promosso da una Società, alla quale era stata notificata un’ordinanza di demolizione di un immobile realizzato con concessioni edilizie successivamente annullate in sede giurisdizionale in quanto illegittime per contrasto con la disciplina urbanistica.
Il TAR aveva respinto il ricorso della Società rilevando, in particolare, che l’intervento contestato era stato realizzato in contrasto con le previsioni recate dai titoli abilitativi poi annullati.
La ricorrente, quindi, ha proposto appello innanzi al Consiglio di Stato censurando la statuizione di primo grado nella parte in cui non ha rilevato che l’originaria concessione edilizia era stata annullata per ragioni imputabili all’Amministrazione e non alla Società stessa.
La fiscalizzazione dell’abuso ai sensi dell’art. 38 D.P.R. n. 380/2001.
In materia di abusi edilizi, il Testo Unico Edilizia (D.P.R. n. 380/2001) prevede la possibilità per la Pubblica Amministrazione, in luogo dell’ordine di demolizione, di irrogare una sanzione alternativa nelle seguenti ipotesi: i) ristrutturazione edilizia effettuata in assenza di permesso di costruire o in totale difformità da esso (art. 33, comma 2); ii) interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire (art. 34, comma 2); iii) interventi eseguiti in base a permesso annullato (art. 38, commi 1 e 2).
A differenziare le predette ipotesi è il fatto che, nelle prime due, l’irrogazione della sanzione alternativa non rimuove l’abuso il quale viene “tollerato” (con ripercussioni in merito allo stato legittimo dell’immobile); nel caso di titolo edilizio annullato, invece, l’integrale corresponsione della sanzione produce i medesimi effetti della “sanatoria” di cui all’art. 36 D.P.R. n. 380/2001.
Con particolare riferimento all’ipotesi di annullamento del titolo abilitativo, l’art. 38, comma 1, del TUE dispone che “1. In caso di annullamento del permesso di costruire, qualora non
sia possibile, in base a motivata valutazione, la rimozione dei vizi delle procedure amministrative o la restituzione in pristino, il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale applica una sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite, valutato dall’agenzia del territorio, anche sulla base di accordi stipulati tra quest’ultima e l’amministrazione comunale. La valutazione dell’agenzia è notificata all’interessato dal dirigente o dal responsabile dell’ufficio e diviene definitiva decorsi i termini di impugnativa”.
La norma, dunque, individua due casi in cui può essere irrogata la sanzione alternativa alla demolizione, ossia l’impossibilità di rimuovere i vizi del procedimento amministrativo che ha formato il titolo annullato oppure l’impossibilità di ripristinare l’opera.
La seconda ipotesi presa in considerazione dall’art. 38 riguarda l’annullamento del titolo per vizi sostanziali al quale non possa seguire la demolizione ripristinatoria del manufatto abusivo: sul punto, la giurisprudenza amministrativa ha chiarito che la fiscalizzazione è consentita solo nel caso in cui la restituzione in pristino risulti effettivamente impossibile all’esito di una valutazione squisitamente tecnica e non di una ponderazione degli interessi coinvolti, compreso l’affidamento del privato riposto nella legittimità delle opere medio tempore realizzate, in quanto “diversamente opinando, l’art. 38 d.P.R. 380/2001 si presterebbe a letture strumentali, consentendo sanatorie ‘ex officio‘ di abusi attraverso lo strumento dell’annullamento in autotutela del titolo edilizio originario.” (Consiglio di Stato sez. IV, 19/04/2022, n.2919)” (Consiglio di Stato, Sez. VI, Sent. n. 136/2023).
Quanto alla individuazione dei vizi procedurali che consentono la fiscalizzazione dell’abuso, invece, la disposizione ha fatto registrare particolari problemi interpretativi nel corso degli anni, dando luogo a numerosi contrasti giurisprudenziali: i) un primo orientamento riteneva che applicabile la fiscalizzazione dell’abuso a qualsiasi tipologia di abuso e di vizio, formale o sostanziale, comportanti l’annullamento dell’originario titolo, considerando l’istituto in parola come un caso particolare di condono di una costruzione nella sostanza abusiva;
ii) un secondo e più risalente orientamento, invece, considerava applicabile la fiscalizzazione soltanto nel caso di vizi formali o procedurali emendabili, residuando per tutti gli altri casi l’applicazione della sanzione demolitorie e la rimessione in pristino;
iii) secondo un terzo orientamento, infine, la fiscalizzazione era ammissibile anche nei casi di vizi sostanziali però emendabili, senza tuttavia dar luogo alla sanatoria dell’abuso, in concreto eliminabile con le opportune modifiche del progetto prima del rilascio della sanatoria stessa.
A dirimere tale contrasto giurisprudenziale è intervenuta l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la Sentenza n. 17/2020, nella quale ha enunciato il principio di diritto per cui “i vizi cui fa riferimento l’art. 38, D.P.R. 380/2001 sono esclusivamente quelli che riguardano forma e procedura che, alla luce di una valutazione in concreto operata dall’Amministrazione, risultino di impossibile rimozione”: fornendo un’interpretazione restrittiva dell’art. 38 del TUE, dunque, il Consiglio di Stato ha chiarito che la norma si riferisce all’ipotesi in cui il titolo edilizio è stato annullato per vizi formali o procedurali non emendabili ai sensi dell’art 21 nonies, comma 2, L. n. 241/1990: in questo caso, data la sostanziale legittimità dell’opera, la Pubblica Amministrazione deve procedere alla fiscalizzazione dell’abuso evitando la demolizione tutelando l’affidamento del privato circa la legittimità del titolo edilizio, che costituisce un limite rispetto al potere di riduzione in pristino solo nel caso in cui l’opera non presenti profili di abusività dal punto di vista sostanziale.
Sulla base di tale argomentazione, quindi, l’Adunanza Plenaria ha precisato che “La tutela dell’affidamento attraverso l’eccezionale potere di sanatoria contemplato dall’art. 38 non può infatti giungere sino a consentire una sorta di condono amministrativo affidato alla valutazione dell’amministrazione, in deroga a qualsivoglia previsione urbanistica, ambientale o paesaggistica, pena l’inammissibile elusione del principio di programmazione e l’irreversibile compromissione del territorio, ma è piuttosto ragionevolmente limitata a vizi che attengono esclusivamente al procedimento autorizzativo, i quali non possono ridondare in danno del privato che legittimamente ha confidato sulla presunzione di legittimità di quanto assentito”.
È opportuno precisare, tuttavia, che all’esito dell’annullamento di un titolo edilizio l’Amministrazione comunale non può adottare, direttamente, un ordine di ripristino ovvero la sanzione pecuniaria sostitutiva, ma è chiamata a pronunciarsi prima sulla possibilità di esitare, con il rilascio di un permesso di costruire postumo, l’originaria istanza presentata dal privato: in pratica, l’Amministrazione comunale deve considerare prima la possibilità di autorizzare a posteriori l’opera realizzata con un titolo annullato e solo all’esito di tale valutazione, e se e nella misura in cui il rilascio del permesso di costruire postumo non sia ritenuto possibile, può sanzionare il responsabile con l’ordine di ripristino o con la sanzione pecuniaria sostitutiva.
In particolare, trattandosi di procedere all’esame “ora per allora” dell’originaria istanza di titolo edilizio, la Pubblica Amministrazione deve valutare se le opere originariamente richieste, successivamente realizzate sulla base di un titolo annullato, avrebbero potuto essere autorizzate tenendo conto della normativa vigente al momento in cui l’Amministrazione si è pronunciata la prima volta (in ossequio al principio tempus regit actum), anche esaminando singolarmente le opere realizzate senza obbligo di valutare il manufatto abusivo nella sua unitarietà.
Ciò che rileva ai fini del rilascio del titolo postumo, pertanto, è la conformità sostanziale delle opere rispetto alla normativa vigente al momento del rilascio dell’originario titolo abilitativo, e l’Amministrazione può così procedere all’espletamento tardivo delle attività finalizzate ad accertare la sussistenza, al predetto momento, delle condizioni di fatto e di diritto richieste ai fini della conformità (edilizia, urbanistica, paesaggistica, ambientale…)[1].
La Sentenza: Consiglio di Stato, Sez. II, Sent. n. 6039/2024.
Dalle coordinate interpretative appena richiamate, quindi, emerge che la ratio sottesa all’art. 38, D.P.R. n. 380/2001 consiste nel graduare la sanzione in relazione alla gravità dell’abuso realizzato, prevedendo un regime sanzionatorio più mite (id est la fiscalizzazione) per le sole ipotesi in cui il privato abbia edificato confidando incolpevolmente nella legittimità del titolo edilizio rilasciato dall’Amministrazione, successivamente rivelatosi illegittimo ed annullato, ferma restando la possibilità di riedizione del potere da parte della Pubblica Amministrazione, la quale può rilasciare un titolo postumo per le opere non più assistite da un titolo ed astrattamente assentibili.
Ad ogni modo, ciò che rileva tanto ai fini del rilascio del titolo postumo, quanto ai fini della fiscalizzazione dell’abuso in luogo della drastica demolizione, per tutelare l’affidamento riposto dal soggetto nel titolo edilizio ritenuto legittimo e successivamente annullato, è la conformità del manufatto all’originario titolo abilitativo ed alla normativa urbanistico-edilizia: in sostanza, per procedere nell’uno o nell’altro senso, la Pubblica Amministrazione deve sempre valutare la presenza del requisito della “doppia conformità”.
Proprio sulla scorta di tale perimetro giurisprudenziale, nella fattispecie esaminata dalla Sentenza n. 6039/2024 il Consiglio di Stato ha ritenuto non sussistenti i presupposti per l’applicazione della fiscalizzazione ex art. 38 Testo Unico Edilizia.
Il Consiglio di Stato, infatti, ha rilevato che l’immobile della Società appellante è stato realizzato i) in forza di concessioni edilizie contrastanti con la normativa urbanistica, e perciò annullate in sede giurisdizionale, e ii) in maniera difforme dagli stessi titoli abilitativi.
Per tali ragioni, il Collegio ha concluso che “non può trovare applicazione, come invece sostenuto dalla ricorrente, l’art. 38 del d.P.R. 380/2001 per difetto dei relativi presupposti poiché l’abusività del fabbricato discende non solo dall’intervenuto annullamento giurisdizionale della concessione edilizia, ma anche dalle gravi difformità rispetto alla concessione annullata, puntualmente messe in luce dal giudicato amministrativo e dalle sentenze del giudice ordinario.
12.5 L’immobile è stato, inoltre, realizzato in difformità rispetto alla disciplina urbanistica e difetta, di conseguenza, del requisito della doppia conformità che costituisce il necessario presupposto sia per la fiscalizzazione (art. 38 d.P.R. n. 380/2001) che per la sanatoria (art. 36 d.P.R. n. 380/2001) dell’abuso (cfr., da ultimo, Cons. Stato, sez. II, 17 giugno 2004, n. 5428)
…
12.7 Ne discende che, essendo l’immobile già ab origine abusivo, l’annullamento del titolo edilizio non può avere l’effetto di “recuperarlo a fiscalizzazione” in contrasto con la ratio dell’istituto che è quella di tutelare l’affidamento riposto dal privato nella legittimità del titolo edilizio (poi annullato) e, quindi, dell’intervento realizzato in forza di esso (Cons. Stato sez. II 8 gennaio 2024 n. 277; sez. VI, 5 ottobre 2018, n. 5723). L’affidamento nella legittimità del titolo edilizio presuppone, infatti, che le opere siano state eseguite in conformità allo stesso”.
[1] Consiglio di Stato, Sez. VI, Sent. n. 8869/2023.